Storia Sociale della Chiesa – Volume I

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Che senso ha ripubblicare oggi, nel XXI secolo, un’opera iniziata più di un secolo fa? E per giunta incompiuta, attinente a una materia, la storia, che al contrario della teologia o della filosofia, scienze speculative, è calata nel contingente, e nel continuo approfondimento delle fonti.
Il fatto è che la “Storia sociale della Chiesa”, come tutte le grandi opere, è ancora attuale ai nostri giorni. L’attualità di questa opera non è dovuta al ruolo, pur importante, svolto da Mons. Benigni nel mondo accademico, ma anche dal fatto che il nostro autore poteva unire, cosa non comune, l’esperienza dell’uomo di governo (avendo lavorato in segreteria di Stato), la verve del giornalista, la fede del sacerdote, l’acume poliziesco del creatore della moderna intelligence vaticana, e chi più ne ha, più ne metta: quante personalità in un sol uomo…
Mons. Benigni si proponeva di contribuire, nel campo della storia ecclesiastica, alla realizzazione del programma del pontificato di san Pio X: “restaurare tutto in Cristo”, e questo particolarmente nello studiare quello che egli chiama l’“Impero della Chiesa”, ovverosia l’influenza della Chiesa nella vita sociale dell’umana civiltà. La sua era allora – e lo resta ancor oggi – un’opera estremamente moderna, cosa (apparentemente) paradossale in un dichiarato antimodernista. Moderna nel proporre non un manuale di storia ecclesiastica, come ve n’erano tanti, ma una storia “sociale” della Chiesa: dal punto di vista cioè dell’influenza della Chiesa nella vita politica, etico-giuridica ed economica della società. Moderna, nell’accogliere pienamente il metodo critico nella storia anche ecclesiastica, sicuro che una sana critica storica non sarebbe mai stata contro la Chiesa e la verità, ma a suo favore. Moderna, infine, nello stile inimitabile, ironico e arguto, dell’autore. Emile Poulat, storico e biografo di Mons. Benigni, qualificherà la sua storiografia come “critica”, “sociale” e “realista” (Catholicisme, démocratie et socialisme, Casterman, 1977, p. 184). Benigni non esitò a servirsi nella sua analisi storica di tre coefficienti presi in prestito a un avversario dichiarato, e riconosciuto come tale, Hippolyte Taine: la razza, l’ambiente e il momento, rifiutando ovviamente il razionalismo e il determinismo dell’autore francese.

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